lunedì 3 ottobre 2011

M. LEYNER - Hey tu, baby!

Sì sono d'accordo con l'anima defunta dell'infinite jest. Il linguaggio di Leyner è un placebo, non ha nulla di terapeutico, nemmeno in senso dissacratorio. Non rappresenta il nostro tempo. E'solo il libro di un comico che ha avuto a che fare con le medicine quando lavorava per la grassa pace occidentale. Davvero niente a che vedere con il genio di Wallace.
Comunque ho letto il libro ed anche il precedente Mio cugino, il mio gastroenterologo...e se non cercate profondità, ricerca, verità, od altro....insomma se non cercate niente....se volete divertirvi. E'un gran libro. E Fernanda Pivano si sbaglia. Cazzo.

martedì 20 settembre 2011

V. SETH - Il ragazzo giusto

Ho sentito in giro che il buon Vikram sta preparando il seguito al suo ponderosissimo Il ragazzo giusto e per questo, oltre che per i numerosi matrimoni di questo periodo tra i miei conoscenti, credo sia il momento proprizio di parlarne.
Scrivere di vicende familiari quotidiane, appunto il ragazzo per tua figlia, leggasi quello che la porterà all'altare, senza fare chicken lit od una sceneggiatura bolliwoodiana, raggiungendo lo status di vero classico contemporaneo, non è da tutti. E piano, sebbene il libro sia divertentissimo, colorato e speziato di curry e tandori, non è per tutti. L'albero genealogico che apre il libro e, ovviamente il numero di pagine (per carità non prendete il tascabile che diventate cecati...), deve frenare il lettore occasionale o poco costante. Questo è una faccenda per la solitudine del corridore di lunghe distanze (offro un the alla cannella malese a chi scopre la citazione senza motori di ricerca...), da divoratori notturni di pagine. Comunque ne vale la pena, oltre a sfoggiarlo sulle mensole, si intende.

martedì 30 agosto 2011

G. ELIOT - Middlemarch

Ed eccolo sì un bel libro da donne per uomini. Un classico dell'Inghilterra vittoriana, faceto ma non ridicolo, in sostanza una vicenda di un buon matrimonio, censo e di echi sociali nella campagna britannica. Forse tutto qui, ma anche altro. Vi è tristezza in questo libro, ed incomprensione, per le donne che combattono e lottano, quelle con un po' di cellulite, il naso affilato, le ginocchia molli, che vogliono sapere, partecipare, scegliere, votare, amare, a prescindere dal capitale che portano in dote.
A me piace, lo rileggo anche a salti: " Sì, si me ne ricordo - vedrai che le ho ricordate tutte...tutte brune e brutte. Avrebbero bisogno di un po' di denaro vero? Non c'è mai stata alcuna bellezza nelle donne della nostra famiglia; ma i Featherson hanno sempre avuto del denaro, e i Walue pure...Sì, sì; il denaro è come un bell'uovo: e se hai del denaro da lasciare in eredità, deponilo in un buon nido caldo."

venerdì 8 luglio 2011

K. VONNEGUT - La colazione dei campioni (o Addio triste lunedì!)

Non mi ricordo se è in Blue in the face od in Smoke la scena in cui Jarmush in persona va dal tabacchino per fumarsi l'ultima sigaretta. A prescindere, ricordo la storiella della colazione del campione. Ovvero caffè e sigaretta. Pensavo centrasse qualcosa con questo libro e invece no. Niente colazioni integraliste. Semmai colazioni a base di uova, pancetta e caffé a volontà. E cerali, di cui al titolo
Questo libro è il più sardonico di tutta la produzione di Vonnegut, forse perché scritto quando egli aveva 50 anni esatti e quindi, in qualche modo, destinato a rappresentare una immagine della mid life crisis. Non a caso i due personaggi principali del libro, l'uno rivenditore d'auto, l'altro scrittore di fantascienza alter ego del nostro eroe, sono a metà del giro e si aggrappano alla boa per non venire schiacciati dal consumismo americano. Si aggrappano a dettagli, invece che a solida fondamenta. Perché fondamenta non ce ne sono, senso compiuto nemmeno. Ed è così che la scrittura di Vonnegut esplode al di là della trama, che è stupida e surreale, volutamente stupida e surreale, perché le vicende narrate sono solo un pretesto per ridere della stupidità umana.

Cit: "Una creatura di nome Zog arriva sulla Terra su un disco volante per spiegare come evitare le guerre e curare il cancro. Porta queste sue informazioni da Margo, un pianeta i cui abitanti conversano tra loro emettendo scoregge e ballando il tip-tap. Zog sbarca di notte nel Connecticut. Ha appena messo piede a terra che vede una casa in fiamme. Vi si precipita dentro, scoreggiando e ballando il tip-tap, per avvertire gli abitanti del terribile pericolo che corrono. Il padrone di casa gli spacca il cranio con una mazza da golf."

venerdì 24 giugno 2011

M. MONGAI - Memorie di un cuoco di astronave

Scrivere qualche breve parola su questa opera di Mongai mi da l'occasione di un piccolo introbio sull' e-book. Un semplice "a favore", con la mano alzata. Cosa sarà il futuro del libro non lo so. Mi basta si legga. Spero che il mercato rispetti il mondo delle case editrici e degli scrittori, ma la necessità della diffusione della cultura secondo me viene prima. Dopo avervi tediato...
...Mongai mette a disposizione per i tipi di liber liber un paio di e-book. Storie di fantascienza. Qui si rammenta l'opera dal simpatico titolo sopra riportato. Premio Urania 1997. Storia di un cuoco terrestre che si getta nell'avventura spaziale più classica. Il viaggio interstellare. Visto dalla cambusa.
La spilletta da sceriffo la affibio a Mongai perchè sebbene la storia non sia eccezionale e vi siano glossolalie sessuali un po' banali (= sogni erotici triti e ritriti), lo scrittore sa utilizzare pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo,  la tecnica a me totalmente avulsa della "lista della spesa". Ovvero egli descrive le avventure del suo eroe con lunghe digressioni di fatti, cose, elementi e soprattutto ingredienti, rendendo comunque la lettura piacevole. Un po' come capita per il Rabelais di Gargantua. E sempre di cibo si parla. Che sia un caso?
Lo trovate qui .

giovedì 16 giugno 2011

K. KUREISHI - The black album

E’ appena uscita in Italia, in una corposa edizione, la raccolta dei racconti brevi del preziosissimo autore anglo-pakistano Hanif Kureishi. La produzione del nostro è ponderosa, tra lavori teatrali, romanzi, racconti, sceneggiature, saggi. La critica letteraria internazionale lo indica come uno dei più importanti interpreti artistici del connubio culturale corrente tra emigrazione islamica e la post-nothing culture occidentale, in particolare quella di origine indo – pakistana verso l’Inghilterra. Tuttavia il riferimento geografico non può limitare il valore delle sue pagine, che rappresentano uno spaccato vivo, riconoscibile, di una integrazione meticcia che qui da noi sta appena iniziando (…intendo le ragazzine bianche per manina al ragazzino nero...).Ero indeciso tra Otto braccia per abbracciarti (bel saggio) e The Black Album (così anche in italiano). Essendo questo il mio primo incontro con l’autore, datato 1995, ho deciso di parlarne qui per ragioni banalmente affettive.
1989, crolla il muro di Berlino. Shahid si trasferisce dal Kent a Londra, per studiare all’università. Entra (o è risucchiato) da un (buffo? barocco?) gruppo di fondamentalisti islamici. Mentre vive tra l’opportunità di un islam più viscerale e la sua vita da sfigato universitario, è coinvolto sentimentalmente e (molto, ma molto) eroticamente dalla sua professoressa Deedee Osgood, che mischia Prince, Lancan e sessioni sessuali originali. A complicare il tutto, arriva suo fratello Chili, un gangstar in fuga dalla mala.Se non basta, aggiungo che è il libro che meglio secondo me rappresenta la fine della pop culture degli anni 80, tesa verso il decennio successivo… che a ben vedere è campato di “fin che dura”, messo pure in bocca ai nostri mentre stanno sulle fredde spiagge di Brighton.

D. BUZZATI - La famosa invasione degli orsi in Sicilia

Letteralmente il primo libro che lessi di un autore serio. Avevo sei anni e una maestra speciale, che aveva capito la mia passione per gli idioletti. Fu decisamente un ottimo regalo di compleanno. L'ho riletto non so quante volte. La copertina del tascabile rischia la decapitazione da diversi anni. E' pure macchiato di caffè, a causa dei maneggi dell'età adulta. E'stato battuto solo da L'isola del Tesoro, che per me è IL LIBRO (14 giri, segnati da una croce...sulla cassa del morto!).
E' una fiaba piuttosto atipica, ombrosa, giganteggiante, con mostri stilizzati e per questo terrificanti nel loro comparire, quasi come sospiri misteriosi soffiati da vecchie cornette attraverso i cavi di guttaperca...
Lo consiglio a chi ha letto tutto di Buzzati e questo l'ha scartato perché le fiabe son cose da bambini. Io credo che quel lettore che mi prenderà sul serio si ricrederà, e passerà delle ore di delizia.

giovedì 9 giugno 2011

W. LEAST HEAT MOON - Nikawa

Questo post dovrebbe essere certo dedicato all'imprescindibile "Strade Blu. Un viaggio dentro l'America." Diario di viaggio attraverso le strade secondarie (un tempo segnate nelle cartine geografiche appunto con questo colore) degli Stati Uniti d'America. Un libro che non può mancare alla vostra libreria.
Il post potrebbe pure essere dedicato al successivo "Prateria. Una mappa in profondità.", ma questo mi ha un po' deluso, nel suo tentativo di ripetere il grande viaggio del primo capitolo della trilogia che l'autore stava redigendo, descrivendo in dettaglio una sola, singola, area territoriale. Affascinante certo, ma meno avventuroso, forse troppo conscio delle capacità enormi di scrittura maturate da Least Heat Moon, e quindi meno ironico.
Il post è dedicato al terzo capitolo del terzetto, "Nikawa. Diario di bordo di una navigazione attraverso le Americhe". E' la narrazione di un lungo viaggio coast to coast attraverso i corsi d'acqua interni degli States, interrotto solamente per spostare il natante, Nikawa, da un letto di fiume all'altro.
Più spensierato e galoppante del secondo episodio, Nikawa prende l'avventura da "Strade Blu" e vi aggiunge la posatezza della vita di marinaio d'acqua dolce.

martedì 7 giugno 2011

BONSAI'S - Teresa (di haikus)

Sta da sola a Roma come tanti, abita dietro Piazza Bologna con tre gatti. Nella zona lei è fuori età. Si sa che ci stanno in nero gli studenti dell’università. Lavora al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro. Ha una stanza grande e soleggiata, con una pianta vicino alla finestra – giuro – di pomodoro. Lei dice che è una pianta ornamentale, ma ho scommesso coi miei nuovi colleghi che ad agosto ci sarà appeso qualche grosso vegetale. E’ la responsabile per gli approvvigionamenti di cancelleria: da lei trovi carta, penne, fotocopie pronte quando serve.
Ha la moka da caffè, quella da tre. Niente bombola a gas per carità. Fornello elettrico sul davanzale e posacenere se ti va di fumare. Lì si va passando di corsa o facendo finta di aver dimenticato la borsa. Stai pur sicuro che se le stai simpatico ti verrà a cercare per invitarti da lei a chiacchierare. Ti presenterà una tazzina piena di brodino nero bollente e ti parlerà della sua vita piena di niente. Niente figli, niente marito, niente vacanze o gite fuori porta. Solo gatti, mal di testa, ricette romane di cui è ghiotta. E storia vaticana. Sa tutto dei papi, vita morte e beh, anche i miracoli. Ricordo ancora come è cominciata la narrazione della dossologia dei primati romani.
Quel giorno era il compleanno di mio padre e così, nel nulla del caffè, le dissi della ricorrenza. Lei mi chiese il nome di papà. Adriano per l’appunto.  Attaccò allora dicendomi che era un nome importante, di un papa coevo di Carlo Magno… per interromperla dovetti inventarmi un bisognino al bagno.
Non mi ricordo molto dei suoi racconti successivi, ma mi rimase a mente la storia di quel Vescovo di Roma.
Date a Cesare quel che è di Cesare. Adriano I appoggiò il re franco contro l’Impero Romano d’Oriente. E a Dio quel che è di Dio. I due compagni d’arme si scornarono sul culto delle icone e delle immagini sacre. Vinse ovviamente il successore di Pietro Apostolo e continuò così l’adorazione dei santi. Oltre alla produzione di notevoli opere d’arte.
Teresa aveva tra le foto di gatti appese dietro la scrivania un santino raffigurante Sant’Antonio da Padova, appiccicato con lo scotch. La commemorazione del santo cade secondo il calendario liturgico il 13 giugno. Lo so bene io, che sono nato quel giorno.
Non l’ho mai detto a Teresa, in nessuna occasione.
Ovviamente per timore reverenziale della sua cultura e perché del mio patrono conosco già la storia. Sai la noia.

giovedì 26 maggio 2011

J.D. SALINGER - Franny & Zooley

Delle poche cose scritte dall'enigmatico Salinger, Franny & Zooley è il mio preferito.
Tratta dei fratelli summenzionati, di cognome Glass. Le vicende familari erano e saranno oggetto di altri episodi lettarali durante la sua breve opera.
Qui nel libro accade poco o nulla. E'un incontro/ scontro di due fratelli - i belli della famiglia - sul senso della vita all'ombra di un altro fratello, il maggiore, suicida.
Forse è tutta una scusa per parlare dei fondamenti della spiritualità umana, ma si sa, Salinger è sfuggente e reticente per definizione.
Eppure delle tante letture fatte, questa è una di quelle di cui non ho scordato una pagina, tanto mi ha giovato.
Anch'io come Franny ero in crisi con me stesso quando lo lessi. Cercavo una definizione di divino che fosse sia trascendente che umana, ma mi ripugnava l'umana natura. Quindi anelavo a qualcosa che in parte odiavo. Ancora ora lotto con la mia misantropia.
Leggendo mi risolsi alcuni dubbi. La sintesi del divino accolta da Salinger mi convinse: qualunque tazza di brodo di pollo offertati con amore, in fondo è Consacrata. Quindi per quanto schifo faccia l'umanità, in fondo, quando dona gratuitamente, si innalza sopra la morte. No?

martedì 24 maggio 2011

J.K. TOOLE - Una banda di idioti

Semplicemente avrei dovuto leggerlo prima. E'una delle migliori opere narrative che io abbia incontrato e non posso non invitarvi alla lettura. Non riesco nemmeno a recensirlo come si deve, mi sembra che ogni trovata da parte mia sarebbe inutile. Sarebbe ancor più spregevole e basso farsi belli scrivendo di capolavori come questo.

Allora vi racconto perché non l'ho mai letto prima.
Mia moglie adora Di Caprio, l'attore. Quando eravamo più giovani aveva un poster enorme appeso alla porta della stanza da letto. Io già lo odiavo prima di mettermi insieme a lei, per il suo testone da gatto e la faccia da ragazzino. Figurarsi dopo.
Lessi per caso una intervista allo stimato in cui riferiva che il suo libro preferito era appunto questo.
Quindi decisi di non leggerlo per partito preso.
Il mese scorso mi è capitato in mano alla Feltrinelli di Treviso e ho deciso che il tempo cura le ferite. L'ho comprato. Non posso dire di essermi pentito.

martedì 10 maggio 2011

M. ZIELENZIGER - Non voglio più vivere alla luce del sole

Il Giappone è terra di eventi estremi. L'affermazione, gratuita, trova qualche traccia di sostegno se pensate a quali vocaboli giapponesi sono entrati nel nostro vocabolario quotidiano. Faccio un esempio: tsunami, wasabi, kamikaze. Non sono tutte espressioni di concetti estremi?
Aggiungiamo una nuova parola: hikikomori (il confinato, il chiamato fuori). Si tratta di una sindrome psicologica che in Giappone sta colpendo molti giovani. Questi, in crisi con una società che non li accetta o non li accoglie tra i suoi tentacoli, decidono di recludersi nella propria casa o camera, senza mai uscire, interfacciandosi con il mondo solo con il computer. Le relazioni familiari diventano un mero servizio a domicilio per il cibo. Molti non guariscono, si suicidano o si lasciano consumare dall'inedia. Altri ce la fanno, in centri specializzati e con l'aiuto delle famiglie, spesso formate da genitori che hanno chiesto troppo (in termini di successo) ai propri figli.
E' un saggio sentito, per niente ampolloso, ma anzi curioso, pieno di casi umani. Interessante il sottesso paragone con noi giovani occidentali, meno estremisti, ma sicuramente ormai legati a doppio filo ai nostri monitor, senza lavoro o con poco lavoro, o con un lavoro diverso, inatteso, incasinati, pronti ad esplodere.

venerdì 29 aprile 2011

L. F. CELINE - Il dott. Semmelweiss

Tesi di laura del caro Céline, in una asciutta piccola edizione dei tipi di Adelphi. Lo si ricorda qui perché utile a comprendere la penna e l'animo del notissimo scrittore francese, al secolo dottor. Destouches. Infatti questa è la sua tesi di laurea in medicina. Non inorridiscono quelli che pensano a trattati sulla cisterna del Pecquet o a papillomi vari. La tesi tratta della triste vicenda di un brillante medico mitteleuropeo ottocentesco. Costui si accorse che la febbre puerperale che affilggeva molte partorienti conducendole alla morte era generata in moltissimi casi da semplice setticemia indotta...dagli stessi ostetrici che, ignari o incuranti delle più elementari norme igeniche, "trattavano" le madri con le mani sozze di altrui viscere. Incredibile eh? Eppure succedeva circa un secolo fa. Il dottore suggerì semplicemente di lavarsi le mani in una soluzione sanitaria a base di candeggina. Le sue personali sperimentazioni ridussero clamorosamente le morti delle puerpere nelle cliniche in cui operò. Incredibilmente fu osteggiato, deriso, umiliato ed infine scacciato dai propri colleghi. Finì in sanatorio, dove morì (sigh!) di setticemia.
Ci volle un Pasteur qualunque per riabilitarlo, purtroppo post mortem.
Se voi e mamma siete vivi lo dovete un poco pure a lui.
La vicenda è avvincente e la scrittura di Céline convince, seppure ancora cruda, giovanile e priva delle folli sciarade di sarcasmo...e dei puntini...

giovedì 28 aprile 2011

W. T. VOLLMAN - Europe Central

Ecco per affrontare Europe Central sono necessarie alcune cose:
MATERIALI
1. Matita 2B
2. Matite colorate
3. Post it
4. Segna Pagine
5. Quaderno per annotazioni
6. Poster bianco, direi 1m x 1m...per collegamenti tra fatti e personaggi (frecce ecc...)
7. Pennarelli
8. Vocabolario della lingua italiana...prima pagina del libro, tre parole sconosciute, almeno per me.

SPIRITUALI
8. Pazienza
9. Amore per la Storia
10. Tempo

Questo libro è infatti denso come un buco nero, tale da non poter essere affrontato se non con la summenzionata dotazione (e per difetto ed approsimazione).

Qui si tratta di un affresco storico sullo stile di Guerra e Pace, ma laddove Tolstoj è miracolosamente lineare, Volmann è intricatissimo.
Per due motivi:
1) si tratta della seconda guerra mondiale, nell'eccezione dei fronti nazifascista vs comunista. Periodo storico ancora interpretabile e incomprensibile in termini di etologia umana. Niente cavalli e cannoni di Napoleone. Armi di sterminio di massa, mica baionette. Distacco neurologico tra azione e conseguenze (schiaccio il bottone e distruggo intere città - cioè una cosa incomprensibile in uno scontro naturale tra animali, molto più di una palla di piombo almeno).
2) L'arte letteraria dei nostri anni paga tributo alla nostra possibilità sterminata di ricercare e ricevere informazioni,  a cui ci ha abituati il sistema mediatico in cui siamo immersi.

Wollman prende eventi quotidiani insignificanti e distorce lo spazio tempo con la penna, collegando le distanze geografiche di una Europa in fiamme alle anime in pena che la abitano, ricordandoci che lo zeitgeist è il geist di ciascuno di noi, voltente o nolente, recalcitrante o drogato di esso.

Finisco con l'aggiungere una elencazione dei personaggi principali del libro: Dmitri Shostakovich, Käthe KollwitzRoman Karmen, Anna Akhmatova, Kurt Gerstein, Friedrich Paulus, Andrey Vlasov. Ed è una minima parte dei volti che abitano queste pagine.

Confuso, basito, piegato ed umiliato, ve lo suggerisco.

martedì 19 aprile 2011

V. EVANGELISTI - Rex tremendae maiestatis.

Domenica ho finito questo libro con un monte ore otto ininterrotte salvo per pisciare in autogrill a bordo di un camper caldissimo impestato dall'afrore di fragole mature... Dopo 16 "apparizioni" forse lo avrei fatto fuori anch'io. Forse no. Evangelisti pone in questo romanzo il full stop non tanto alle avventure del suo inquisitore Eymerich, quanto alla vita del medesimo.
Rex tremendae maiestatis, l'ultima fatica del nostro eroe buono cattivo, è come sempre una conferma della capacità di scrittura di Valerio Evangelisti: tutto corre alla perfezione, senza grossi scossoni rispetto alla costante maturità raggiunta dalla penna dell'autore negli ultimi romanzi della serie (da Mater Terribilis in poi). Nelle vicende qui narrate si tirano le fila di alcuni dei conti in sospeso lasciati inquisiti nella saga, con un finale non del tutto inaspettato conoscendo anche la similare saga di Magus...
...La sensazione comunque è che Evangelisti non sapesse esattamente dove stesse andando a parare mentre scriveva (a quanto letto in un intervista era malato all'epoca della stesura e temeva per la propria vita, quindi voleva chiudere)...in realtà credo che il romanzo fosse già lì nell'iperurarnio delle cose perfette: le premesse, le ipotesi c'erano già tutte nei precedenti episodi. Mancava la consequenziale tesi.

Se non conoscete Evangelisti vi conviene cominiciare da uno dei primi romanzi della serie, non certo da questo.

giovedì 7 aprile 2011

S. DAGGERMAN - Il nostro bisogno di conosolazione

Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un dio né un punto fermo sulla terra da cui poter attirare l’attenzione di un dio. Non ho ereditato nemmeno il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto del razionalista o l’ardente innocenza dell’ateo. Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui io dubito o sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero me stesso, perché di una cosa sono convinto: che il bisogno di consolazione che ha l’uomo non può essere soddisfatto.
Cosa stringo allora tra le mie braccia?
Poiché sono solo: una donna amata o un infelice compagno di strada. Poiché sono un poeta: un arco di parole che tendo sentendomi pervadere di gioia e di spavento. Poiché sono un prigioniero: un improvviso spiraglio di libertà. Poiché sono minacciato dalla morte: un animale caldo e vivo, un cuore che batte irridente. Poiché sono minacciato dal mare: uno scoglio d’inamovibile granito.
Posso riempire tutti i miei fogli bianchi con le più belle combinazioni di parole che sorgono dal mio cervello. Siccome desidero assicurarmi che la mia vita non sia priva di senso e che io non sia solo sulla terra, raccolgo le parole in un libro e ne faccio dono al mondo. Il mondo mi dà in cambio dei soldi, la fama e il silenzio. Ma che m’importa dei soldi, che m’importa di contribuire a rendere più grande e perfetta la letteratura? L’unica cosa che m’importa è quella che non ottengo mai: l’assicurazione che le mie parole hanno toccato il cuore del mondo. Cos’è allora il mio talento se non una consolazione per la mia solitudine? Ma che consolazione spaventosa, che riesce solo a farmi vivere la solitudine con intensità cinque volte maggiore!
Uomini diversi hanno padroni diversi. Io, per esempio, sono a tal punto schiavo del mio talento che non ho il coraggio di farne uso per timore d’averlo perso. Sono poi così schiavo del mio nome da non osare quasi scrivere una riga per paura di arrecargli danno. E quando infine sopravviene la depressione, sono schiavo anche di quella. Il mio più grande desiderio diventa quello di trattenerla, il mio più grande piacere è sentire che il mio unico valore stava in ciò che credo di aver perduto: la capacità di spremere bellezza dalla mia disperazione, dal mio disgusto e dalle mie debolezze. Con gioia amara voglio vedere le mie case crollare e me stesso sepolto nell’oblio. Ma la depressione ha sette scatole, e nella settima sono riposti un coltello, una lametta da barba, del veleno, un’acqua profonda e un salto da una grande altezza. Finisco per essere schiavo di tutti questi strumenti di morte. Mi seguono come cani, o sono io a seguirli come un cane. E mi pare di capire che il suicidio è l’unica prova della libertà umana.
Dal momento che mi trovo sulla riva del mare, dal mare posso imparare. Nessuno ha il diritto di pretendere dal mare che sorregga tutte le imbarcazioni o di esigere dal vento che riempia costantemente tutte le vele. Così nessuno ha il diritto di pretendere da me che la mia vita divenga una prigionia al servizio di certe funzioni. Non il dovere prima di tutto, ma prima di tutto la vita! Come ogni essere umano, devo avere diritto a dei momenti in cui posso farmi da parte e sentire di non essere solo un elemento di una massa chiamata popolazione terrestre, ma di essere un’unità che agisce autonomamente.
Solo in questi momenti posso essere libero davanti a tutte quelle consapevolezze sulla vita che mi hanno prima portato alla disperazione. Posso riconoscere che il mare e il vento non potranno che sopravvivermi, e che l’eternità non si cura di me. Ma chi mi chiede di curarmi dell’eternità? La mia vita è breve solo se la colloco sul patibolo del calcolo del tempo. Le possibilità della mia vita sono limitate solo se faccio il conto della quantità di parole o di libri che avrò il tempo di produrre prima della mia morte. Ma chi mi chiede di fare questo conto? Il tempo è una falsa misura per la vita. Il tempo è in fondo uno strumento di misura privo di valore, perché tocca esclusivamente le mura esterne della mia vita.
Ma tutto quel che mi accade di importante, tutto quel che conferisce alla mia vita il suo contenuto meraviglioso – l’incontro con una persona amata, una carezza sulla pelle, un aiuto nel bisogno, il chiaro di luna, una gita in barca sul mare, la gioia che dà un bambino, il brivido di fronte alla bellezza – tutto questo si svolge totalmente al di fuori del tempo. Che io incontri la bellezza per un secondo o per cent’anni è del tutto indifferente. Non solo la beatitudine si trova al di fuori del tempo, ma essa nega anche ogni relazione tra il tempo e la vita.
Depongo dunque il fardello del tempo dalle mie spalle e, con esso, quello delle prestazioni che da me si pretendono. La mia vita non è qualcosa che si debba misurare. Né il salto del capriolo né il sorgere del sole sono delle prestazioni. E nemmeno una vita umana è una prestazione, ma uno svilupparsi e ampliarsi verso la perfezione. E ciò che è perfetto non dà prestazioni, opera nella quiete. È privo di senso sostenere che il mare esiste per sorreggere flotte e delfini. Lo fa, certo, mantenendo però la sua libertà. Ed è altrettanto privo di senso affermare che l’uomo esiste per qualcos’altro che non sia il vivere. Certo, egli alimenta macchine o scrive libri, ma potrebbe fare qualsiasi altra cosa. L’essenziale è che faccia quel che fa mantenendo la propria libertà e con la chiara coscienza di avere in sé – come ogni altro dettaglio della creazione – il proprio fine. Egli riposa in se stesso come una pietra sulla sabbia.
Posso anche essere libero dinanzi al potere della morte. Certo, non potrò mai liberarmi dal pensiero che la morte segue i miei passi, e tanto meno negare la sua realtà. Ma posso ridurre la minaccia fino ad annullarla non ancorando la mia vita a punti d’appoggio tanto precari come il tempo e la fama.
Il mondo è dunque più forte di me. Al suo potere non ho altro da opporre che me stesso – il che, d’altra parte, non è poco. Finché infatti non mi lascio sopraffare, sono anch’io una potenza. E la mia potenza è temibile finché ho il potere delle mie parole da opporre a quello del mondo, perché chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà. Ma la mia potenza sarà illimitata il giorno in cui avrò solo il mio silenzio per difendere la mia inviolabilità, perché non esiste ascia capace di intaccare un silenzio vivente.
Questa è la mia unica consolazione. So che le ricadute nella disperazione saranno molte e profonde, ma il ricordo del miracolo della liberazione mi sostiene come un’ala verso una meta vertiginosa: una consolazione più bella di una consolazione e più grande di una filosofia, vale a dire una ragione di vita.

Da Il nostro bisogno di consolazione, Iperborea, Milano 1993.

Compratevelo, fatevi un regalo.      

venerdì 1 aprile 2011

PACO IGNACIO TAIBO II - A quattro mani

Compagno di viaggio delle ultime vacanze sarde con i miei genitori. Amatissimo e riletto più volte, mi fece da guanciale notturno per quelle trite giornate (ora agognate per motivi di anagrafica dei miei) e da ombrellone sulla faccia, mentre stavo sul bagnasciuga.
Traboccante di personaggi tra cui Stan Laurel che va in Messico a sbronzarsi e assiste all'omicidio di Pancho Villa, un nano impegnato a smantellare l'organizzazione di controinformazione della Cia (lo SHIT DEPT.), un carcerato politico russo che sta riscrivendo un'opera salgariana...due giornalisti che cercano di tirare le fila di tutto (da cui il titolo)...ovviamente, altrimenti ci si perde. Comunque una trama mostruosa, scoppiettante come una cena messicana, scrittura paragonabile ad un Bud Spencer in bomber che mangia fagioli, idee come bombe nella scena finale del dott. Stranamore, ma non singole, a piovere. E soprattutto tanto da ridere. Per gli amanti della cospirazione internazionale.
Cito:
Vuotò la coppa d'un colpo, prese la bottiglia e si servì di nuovo. Il vino traboccò e qualche goccia sulla tavola macchiò la nuova serie di passaporti messicani che Longoria falsificava nei momenti di ozio per i ragazzi salvadoregni.
- Brindò ai nani, perché loro vedono le cose nella giusta e umile dimensione, dal basso. Brindò alla Senna e agli usi costruttivi della nitroglicerina. Brindò ai vecchi amici. Che le loro ossa possano concimare i cimiteri della nostra memoria.
Bevve ancora. Poteva trovarsi a Parigi o a Città del Messico. Gliene importava tre par di coglioni. Finché non dimenticava i vecchi compagni, finché ricordava puntualmente da che parte della barricata vivono, dormono, si coricano e si alzano quelli buoni per veder sorgere il sole.
A quel punto alzò la bottiglia e disse:
- A morte i cattivi! - e se la trangugiò fino all'ultima goccia.

martedì 29 marzo 2011

BONSAI'S - La spesa (di Haikus)

<< C’è da fare la spesa >>. Proposizione affermativa, non interrogativa, non retorica.
Andare al supermercato per sopravvivere. Potresti mangiare lei, le sue carni, lei potrebbe sbranare te, morderti lo stomaco molle. No, non è necessità questa spesa. Siete due serpenti, due urobori insanguinati che si masticano, mole di frantoio l’una sull’altra.
<< Vado io>> dici, per salvarvi dallo scempio dei corpi.
Sui banchi, le insegne commestibili delle vostre unioni e delle vostre divisioni. Il cavolo cappuccio, le bietole, il tofu e laggiù più allegri fagioli e ceci, spezie, carni rosse, formaggi molli.
L’uomo e la donna si baciano per ripetere inconsciamente il gesto comune a molti animali, di nutrire la propria prole depositando il cibo nel loro apparato digerente, bocca a bocca.
E del suo corpo non ti sazi. Uomo, Donna o Dio che sia. Hai bisogno di cibo, carburante.

lunedì 28 marzo 2011

G. PEREC - Cantatrix sopranica L.

George Perec, di cui alla Vita, istruzioni per l'uso. Qui ricordato per un opercolo comprato per curiosità nella vecchia libreria Costaniero, nella mia città. Perec qui ci delizia con finti articoli scientifici o di critica letteraria per farci morire dal ridere. Tanto più il pezzo è serio, tanto più la patafisica qui ritratta incanta il lettore per la sua improbabilità. Tanto per darvi qualche spunto: in Experimental demonstration of the tomatotopic organization in the Soprano (Cantatrix sopranica L.), l'autore studia scientificamente gli effetti del lancio di pomodoro sul canto di una soprano;  in Roussel e Venezia - Abbozzo di una geografia malinconica, Perec inventa il ritrovamento di alcuni pizzini imputabili a Raymond Roussel, dai quali si dedurrebbe l'ipotesi di un lavoro teatrale mai terminato...cito...La scena si svolge a Venezia[4] alla fine del secolo XIX. Accusato d'aver violentato la fidanzata, un giovane nobile viene salvato in extremis da due bambini, fratello e sorella della ragazza, che giocano a cavallina al piano di sopra. Infatti le vibrazioni indotte dai loro salti liberano le urla lanciate dalla ragazza al momento dell'aggressione e, captate dalle condutture, si accumulano sotto forma di bolle nel bulbo della doccia. Questa «rivelazione liquida» - «Gob! lascia!... » - accusa Gobbo, il barcaiolo della famiglia, che confessa.[5] La ragazza risuscita e il matrimonio viene celebrato senza indugi.
Che altro aggiungere.

venerdì 25 marzo 2011

D. MADSEN - Memorie di un nano gnostico

Meridiano Zero sta pubblicando un sacco di autori interessanti e li dota pure di edizioni curatissime. Mi soffermo su questo Memorie di un nano gnostico (2005), ambientato nella Roma rinascimentale, dipinta a tinte crude nei suoi intrighi di palazzo. Sullo sfondo, ma reale protagonista della storia, il nano Beppe, intimo di papa Leone X, dalla infinita pazienza e dallo straordinario amore per la protagonista Barbara, gnostico.
E'un romanzo scritto veramente bene, con distacco e disillusione per il mondo (come dovrebbe essere), da chi di queste cose si intende.
Madsen è infatti il nome d'arte di un dotto teologo inglese, che probabilmente le sue tesi più ardite o quelle di cui subisce il fascino senza sposarle, le mette in bocca e sulla penna di alter ego. D'altronde sul male e la cattiveria nel mondo si è scritto dalla notte dei tempi e tante sono le opinioni a riguardo. Difficile non vacillare nei propri convincimenti. O almeno difficile non curiosare...

giovedì 24 marzo 2011

J. SPITZ - L'occhio del purgatorio

Spezzo subito una mastodontica lancia a favore di Urania che tra le poche, umilmente, di mese in mese, pubblica romanzi di fantascienza in Italia. La sci-fi piace e non piace, per carità. Certo che la paraletteratura di cui è esponente il genere è, non solo a mio giudizio, uno strumento quasi imprescindibile per interpretare artisticamente  il nostro tempo, così preso dalle scienze e dalle tecnologie, dalle violenze seriali e dalle armi di distruzione di massa (sul punto cfr. "Alla periferia di Alphaville. Interventi sulla paraletteratura" di V. Evangelisti, edito da Ancora del Mediterraneo, Collana Le gomene)...e comunque come riassumeva il buon Vonnegut: "vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi, quello che ci fanno gli equivoci tremendi, gli errori, gli incidenti e le catastrofi. Voi siete i soli abbastanza stupidi per tormentarvi al pensiero del tempo e delle distanze senza limiti, dei misteri imperituri, del fatto che stiamo decidendo proprio in questa epoca se il viaggio spaziale del prossimo miliardo di anni o giù di lì sarà il Paradiso o l'Inferno".

Veniamo al libro. Spitz, esponente di pregio della letteratura di sci-fi francese durante la seconda guerra mondiale, parte da un semplice dubbio scientifico per creare il suo personale viaggio faustiano. Perché gli animali sembrano intuire prima i fatti che stanno per accadere? Scoperto l'arcano, il cattivissimo doktor tod del romanzo "tratta" uno sfortunato paziente con il suo preparato chimico. Il malcapitato comincia a vedere sempre più in là nel nostro presente. Vede letteralmente il mondo invecchiare e presto si trova circondato da tanti scheletrini che gli parlano...per giungere alla fine dell'universo, ripieno di ombre un tempo vive.
Lo trovate ancora su delos store, nell'edizione di Urania Collezione degli anni 90. Io l'ho beccato su una bancarella a Roma. Chi cerca trova.

T. HARRISON - V e altri versi

Mai pagherò abbastanza tributo ad Einaudi per aver pubblicato in Italia Harrison. Il poeta inglese da in questo libretto alcune delle sue cose migliori al traduttore italiano senza venire triturato troppo, anche se rendere il suono e il ritmo di Harrison in traduzione, cogliere il senso delle battute, è un po' come guardare i film di W. Allen in italiano: ridi solo la metà. I caratteri essenziali della poesia di Harrison sono il recupero della metrica classica e della tradizione settecentesca inglese unita ad un linguaggio quotidiano, anche volgare. Mi soffermo sulla prima lunga elegia dell'opera V appunto o versus. Riprendendo il tema della poesia sepolcrale inglese il nostro dapprima si incazza per le lattine di birra e le scritte che imbrattano le tombe del cimitero con inni calcistici (siamo a Leeds), per poi riflettere grazie al pensiero della livella di Antonio De Curtis, a tutti i versus, i contro, che ci dividono inutilmente nel nostro tempo e nella storia. Seguono poi poesie di altre raccolte, spesso osticissime, dedicate ad un infanzia proletaria che deve fare i conti con l'intellettualismo dell'autore. Si conclude con a cold coming, tradotta con un freddo venire, inteso (anche) come un eiaculare meccanico...La poesia è la narrazione in prima persona di un iracheno carbonizzato durante la prima guerra del Golfo che si lamenta del fatto di non poter avere più una discendenza, mentre molti soldati americani hanno avuto il privilegio (se di privilegio si tratta) di conservare il proprio seme in qualche frigidaire militare. Consigliato.

mercoledì 23 marzo 2011

BONSAI'S - Chocolate Pio (di Haikus)

Book haikus apre le porte ai racconti minimali nonché alle poesie, meglio se haiku. Chiunque può richiedere la pubblicazione del proprio racconto o poesia contattando haikus via mail o come gli garba.  L'etichetta bonsai's caratterizzerà questi brevi esperimenti letterari.
Di seguito il primo di essi, ovviamente del blogger medesimo, dedicato ad un pezzo di T.Waits, "Chocolate Jesus".





CHOCOLATE PIO

Mi mangio il mio bel Padre Pio di cioccolata tutte le mattine. Sì signore, tutte le mattine vado in pasticceria a Pietralcina, e mi sbafo la statuina. Prima la mano benedicente, poi la testa beata e con regolarità, giù tutto il saio. Dicono che il cioccolato metta di buon umore e io quando ho finito di masticare sto proprio meglio, in pace con Dio. Lo ringrazio per il cibo e per le energie che la cioccolata mi fornisce per la giornata.
Tutti qui vanno a messa e su e giù dal Santo.
Io lo prego così, standomene in giro per le viuzze del paese. Ma la domenica vado anch'io a messa. Fuori porta e a digiuno. A piedi poi torno in centro a mangiarmi il Padre Pio e a guardare la gente con la faccia stanca.

martedì 22 marzo 2011

M. LOWRY - Sotto il vulcano

La disgregazione mentale progressiva in cui si getta il Console rende dense come magma le pagine di questo libro. Muoversi al suo interno, dopo l’impressione di avere svoltato con successo le prime cinquanta pagine, sebbene ormai senza fiato, taglia in spicchi la volontà del lettore e la spreme in fiumi di tequila come fosse del lime troppo maturo. La stessa tequila di cui si ammazza il nostro protagonista, prigioniero di una realtà funesta e funestata, quotidianamente, dagli spettri alcolici che graffiano la sua mente, in attesa della seconda guerra mondiale ormai annuncianda.

E’uno dei libri fondamentali del novecento, non sono io il primo a dirlo. Semmai l’ultimo. Vorrei scriverne di più e meglio, affrontando in poche righe il suo contenuto, ma purtroppo per me non sono ancora riuscito a finirlo. Devo ripartire sempre da capo perché mi perdo nei gironi infernali che lo costituiscono.

E’un libro che mi fa paura. Eppure non vi è sangue in esso. Solo alcol.

lunedì 21 marzo 2011

S. QUINZIO - Mysterium Iniquitatis

Confesso la mia assoluta incapacità di analizzare quest’opera di Quinzio senza metterci del mio, della mia quotidiana esperienza. E così, caro lettore, tu non potrai evitare di raffrontare questo testo con la tua vita. Perché parla di fallimento e di sofferenza. Due esperienze umane dalle quali non è possibile prescindere.
Quinzio è un teologo cattolico che come te, ateo, agnostico, credente in Cristo o meno, si pone la domanda della sofferenza del mondo, dell’ingiustizia del mondo, della sconfitta finale che attende ogni creatura. In più da cristiano cerca una giustificazione, abbracciando la più severa e alta di tutte. Solo nella sofferenza, nell’esito catastrofico e incomprensibile di ciascuna vita, può passare la Salvezza. Sa bene quanto questo sia intollerabile, quanto questa vertigine sia talmente inaccettabile. Eppure, eh, eppure. Lui crede a Cristo, che muore e non capisce perché muore. Lui, così Vitale.
Quinzio si interroga sulla dimensione temporale dell’attesa della Salvezza. La Parusia si fa attendere da troppo, e la Promessa del Salvatore sembra sempre più avere un costo spropositato. La Fede diventa per Quinzio un abisso profondissimo, un muro nero nel quale gettarsi oltre ogni ragione umana, contro ogni concetto di retribuzione morale, contro la validazione di ogni precetto, contro tutto ciò che è umanamente sperabile.  Senza giustificazione, senza alcun segno di benevolenza divina.
Quinzio, scomodo perché uomo in piedi, avanza infine la sua final solution, la sua personale visone escatologica. Se la Chiesa è il Corpo di Cristo, allora anch’essa dovrà fallire, implodere in sé stessa e morire, senza capire il perché, tradita da chi ama. Solo allora finirà la storia.

Credetemi anche se non credete, qui c’è un uomo che soffre. E come chi soffre è stato davvero tanto solo e lasciato solo. Portate rispetto e fate compagnia a questo disperato che come voi, è andato avanti sorridendo a stento.

sabato 19 marzo 2011

A.M. ORTESE - Il mare non bagna Napoli

Alla fine mi sono comprato "Il mare non bagna Napoli" dell'Ortese. Parlare di un libro in particolare della scrittrice credo sia inutile. Vale la pena leggerli tutti. Questo è il migliore, fin ora, di quelli che ho letto. Finito il preambolo, vi dirò innanzitutto che la forma scelta dall'Ortese per descrivere il suo pensiero non è il mezzo tipico utilizzato per questo genere di considerazioni. Inoltre, la prosa è vitaminizzata da un profumo vago, da un lussureggiare dorato che sa di poesia. Le considerazioni a cui accenno sono di ordine filosofico, se vogliamo esistenziale, ma la forma prescelta è il racconto, il romanzo. I collegamenti letterali che mi sono venuti in mente sono stati S.Daggerman, anch'egli un filosofo travestito da cantastorie, E.A.Poe per il disgusto servito freddo e la tristezza visionaria (e sulla visione torneremo) di  Petrarca.
Tanto per essere chiari, il problema dell'Ortese è il panta rei, tutto scorre. Dio esiste, ma per lei, come per molti, è a distanze siderali dall' uomo, sofferente ma debole, incapace e forse impossibilitato ad intervenire, infantile. Da qui si snodano pagine di dolore in cui la scrittrice sguazza con sguardo fine, disperato, ma colorato di oro, verde e nero. La vita diviene nelle pagine dell'Ortese, qualcosa di orribile la cui comprensione richiede la visione, non intesa come turbamento dei sensi, alterazione psicotropa, fuga da sciamano, ma come vetro magico con cui delineare i contorni del reale nella sua inopportunità metafisica. La realtà per l'Ortese è proprio tutto ciò che non dovrebbe essere e la ribellione, non è quella di Satana, ma è poesia come tentativo di preghiera agnostica, anche e soprattutto accusatoria di Dio.
La scrittura vale più delle strutture create, l'eleganza dello stile copre il volgare della realtà e proietta il lettore nella finzione letteraria come unica possibile realtà. Merita un podio nel cuore.

Ah quella foto. Mi sono innamorato di lei a 14 anni.

venerdì 18 marzo 2011

A. ESCHBACH - Miliardi di tappeti di capelli

Può una cultura basarsi su una menzogna? In qualità di uomini che vogliono essere liberi dovremo interrogarci a riguardo di ogni elemento culturale che caratterizza le nostre scelte.
La storia insegna che la disonestà intellettuale, le cattiverie dell’uomo imposte ad altri della sua specie, sono state giustificate da bugie. Ad esempio, durante la tratta dei negri, qualcuno parlò di “peccato originale supplementare” per giustificare lo schiavismo. Terribile.
Ma anche tanti altri costumi del mondo moderno possono subire la stessa inquisizione.

In questo fantastico libro Andreas ipotizza un popolo di un remoto pianeta interamente desertico, votato a creare tappeti intrecciati con capelli. Genie di tessitori passano l’intera vita a comporre un arazzo con i prodotti del cuoio capelluto, per poi donarlo ad un lontano imperatore universale. Perché?
Scopritelo voi e riflettete sui motivi che fondano la vostra cultura.

giovedì 17 marzo 2011

N. GAIMAN - American Gods

Neil comincia da molto lontano. Scrive inizialmente storie fantascientifiche per riviste erotiche e sceneggiature per fumetti. Forse conoscete il personaggio di Sandman per la DC Comics. Se non lo conoscete, amen, peggio per voi. Forse voi ricordate un certo film, intitolato Coraline. Lui ha scritto il libro.
Il post è dedicato ad una sua opera che personalmente considero il libro più importante uscito nel decennio scorso in campo sci - fi/ fantasy, ed uno dei più validi in generale da inizio secolo. Il mio parere è sostenuto dai premi che si è preso, il Nebula (2002) e l' Hugo (2009). Come a dire che se il botto l'ha fatto, lo ha fatto a lungo.
Il libro ruota attorno ad una idea molto semplice (avercela l'idea!): che succede se gli dei americani, quelli dei nativi e quelli degli immigrati di ogni nazione verso quelle terre, dovessero oggi scontrarsi con i nostri nuovi dei (mettete tra parentesi quello che immaginate, nel libro c'è), per sopravvivere? Il destino del vecchio e nuovo olimpo sono nelle mani di uno di noi, bello grosso e un po'coglione. E sfigato, direi, sentimentalmente. Mortalmente sfigato.
La scrittura è tesissima, anche volgare, ma solo quel che basta. Un paio di scene sono memorabili, soprattutto le pagine ambientate presso il lago ghiacciato. Brrr...caldamente consigliato.

mercoledì 16 marzo 2011

N. MAHFUZ - La trilogia del Cairo

Naghib Mahfuz, premio nobel per la letteratura. Egiziano puro, vissuto al Cairo.
Soprattutto per il suo realismo - quasi un Balzac del medio-oriente - ha contribuito in modo fondamentale alla identificazione della cultura moderna egiziana, anticipandone movimenti e dolori di parto. Fondamentale nella sua opera, per dimensioni e contenuto, l'affresco della Trilogia del Cairo, composta da "Tra i due palazzi", "Il palazzo del desiderio", "La via dello zucchero". E'un enorme affresco familiare che ritrae il Cairo dell'inizio del secolo scorso, in cui lo scrittore affronta, tra i tanti temi, la valenza della donna nella cultura egiziana, dipingendo mogli, figlie e amanti in maniera assolutamente realistica. Al centro della scena un padre padrone che gestisce la famiglia come un severo personaggio di Kafka...per poi finire intrappolato dalle donne. Sullo sfondo la città del Cairo, attraverso cui siamo trascinati da ciascuna pagina, fino a sentirne l'odore fantasma delle spezie.

martedì 15 marzo 2011

J. LETHEM - Chronic City

Premetto che Jonathan Lethem mancava alla mia faretra di scrittori americani contemporanei. Ha già pubblicato un bel po' qui e lì in Italia e non farete fatica a trovare le sue opere nelle librerie più fornite (forse mi illudo).
Chronic city mi ha intossicato, come sono intossicati e intossicanti tutti i personaggi del romanzo. Sarà colpa del buon Perkus Tooth, critico rock ormai dissidente e dall'occhio strabico, alle prese con proclami pseudo esistenziali da appendere ai muri della Grande Mela? Sarà perchè qui il terreno friabile della realtà esplode sotto una gragnuola di canne di mariuana e sotto gli artigli di una gigantesca tigre che scatena terremoti nel sottosuolo di New York? E' colpa dei calderoni virtuali pieni di poteri virtuali che i ricconi della città cercano su ebay? No, è chiaro che è colpa del protagonista, un attore baby pensionato, famoso per una sit com di vent'anni addietro con una fidanzata astronauta morente di cancro e bloccata in orbita attorno alla terra.

Giuro che non vi ho rivelato niente. Il libro è molto di più.